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Il nostro rapporto con il reale può dar luogo, nell’ambito della rappresentazione e del linguaggio della scienza, a un modello che, sostituendosi alle cose, costituisce per noi un “simulacro” strutturato a nostra misura. Questo simulacro, questa immagine percettiva, risulta, d’altra parte, in grado di difenderci dalla imprevedibilità del divenire: il significato di episteme, di scienza, racchiude anche quello di “potenza”, di possibilità di controllare il reale. Diversamente avviene nell’ambito artistico nel quale sembra operare un'esigenza intuitiva che si spinge a penetrare nelle cose stesse rendendoci tutt’uno con esse.
Ecco che l’arte può essere il luogo del linguaggio affrancato, del linguaggio liberato dalla convenzionalità e arbitrarietà dei segni, che accede, quindi, ai molteplici significati – polisemici – della realtà e delle complessità delle sue relazioni, passando, quindi, al di là dello specchio e cogliendo aspetti non apparenti, sconosciuti del reale assumendo vieppiù un’immagine globale, totale, come pratica di riunificazione del campo conoscitivo ed esperenziale, ulteriore elemento del percorso trasformativo dell’uomo e della realtà.
Allora, l’opera d’arte dell’avvenire sarà di chi riuscirà a ritrovare nella sua creatività la forza utopica dell’uomo che vuole affermare l’impersonalità del valore oggettivo della vita, credendo nelle contrapposizioni tra mondi di valori diversi, per far crescere e maturare una civiltà, e sviluppare gli orizzonti di senso del mondo, che vuole, quindi, rifondare la bellezza del cosmo e affidare all’arte quella che Goethe chiamava “genialità dell’azione”.

Ivano Spano