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“Il linguaggio è la casa dell’essere e l’uomo abita questa casa” (M.Heidegger)
Nell'epoca delle comunicazioni di massa, sembra che l'essere abbia abbandonato il linguaggio e, sulla sua assenza, stia scendendo l'oblio.
L'apparire trionfa nella messa in scena del mondo e fa mondo.
Un mondo come fondo a disposizione, dotato di un senso della vita chiuso su se stesso e asservito alla funzione. "L'essenza della tecnica viene a giorno con estrema lentezza. Questo giorno è la notte del mondo, mistificato in giorno tecnico. "
Che resta dell'essere nella terra della sera? Anche l'immaginario collettivo si è massificato. La forza delle figure mitologiche, la numinosità del racconto trasmuta in aberrazione pura e si popola di serial killer, figure assurde la cui brutalità senza redenzione, mostra il nostro lato più oscuro. Se nel sociale il senso del lutto è mascherato dal rumore tecnologico e dalle sue fascinazioni, se le disperazioni sordamente si consumano nel privato, l'arte si fa scenario ove platealmente e ripetutamente si celebra il suo stesso suicidio.
Nei flussi comunicativi, una modalità dell'essere si rivela, prende forma.
Se il mondo prende forma in base alla tecnica o al denaro, è la tecnica o il denaro che fa mondo e non l'arte. Senza una comunicazione autentica, come luogo in cui l’essere si dà, è ancora pensabile l'arte? Un'arte che superi la cecità indotta dalle comunicazione di massa e si offra al gioco delle interpretazioni?
Heidegger vede l'aprirsi dell'apertura della verità, nell'opera d'arte. Ma com' è possibile entrare nel racconto Heideggeriano e aprirsi alla visione che esso dischiude, se non si è riusciti a conservare un particolare tipo di sguardo? Solo uno sguardo oltrepassante può vedere l'aperto! E' un'esperienza rischiosa. Tuttavia è la sola esperienza che permette di cogliere l'evento nella sua forma più autentica e di accostarsi all'arte.
Se il linguaggio poetico non è un "segno" che rinvia a qualche cosa che è già dato, ma è il luogo in cui l'essere si dà, si eventua… l'opera d'arte è opera di svelamento. Ma per essere tale, l'operare artistico, accettati, senza subirli, i canali della comunicazione come canale di scorrimento, terminati anche i riti di auto distruzione, deve mettersi a disposizione della parola per svelare il non-detto (essere).
La comunicazione come opera d'arte può farsi spazio, per "fare spazio" nel continuo sfondamento del luogo verso la libera vastità.
È un essere chiamati al cambiamento e un rispondere cercando i modi che lo rendano possibile. È un sentirsi liberi anche all'interno di strutture potenzialmente ingabbianti. È libertà dai codici interpretativi dei vari linguaggi, usati con consapevolezza, senza assumerli a criteri assoluti di giudizio. È coltivare la visionarietà e rivolgersi al futuro come luogo della possibile realizzazione del desiderio. È mantenere attiva quella generica motivazione alla vita che nonostante tutto, possa rinnovarsi ogni giorno e dirigersi verso obbiettivi dotati di senso. L'unico senso che possiamo ancora concederci: un senso provvisorio, fragile, sfrangiato.... Coltivare insomma quell'élan vitale che solo può condurre oltre e superare la solitudine di chi abita i luoghi della libertà possibile, cercando compagni di viaggio per richiamare all'essere, altre forme di realtà.
La realtà è infatti ambito collettivo. La realtà è il prodotto dei desideri dei più.
Non si può pensare all'oltrepassamento, senza pensare al desiderio che lo vuole e alla libertà che lo consente. Il desiderare è un accorgersi e le tensioni desideranti, nel presente, sono fortemente indirizzate verso attività di consumo. I condizionamenti che le imbrigliano sono invasivi ed efficaci. Solo un eros ben desto potrà essere in grado di non cadere nelle trappole del mondo- mercato e restare legato a quei bisogni di fondo in grado di rinnovarsi. Un eros che sappia eludere la nicchia ingabbiante del quotidiano, là dove la gestione del desiderio lo polverizza disperdendolo nei consumi (l'otrepassamento negato dei consumi). Cosa rivela oggi l'arte di così importante?
L'arte nel comunicare, ci induce ad andare oltre e così facendo chiama il pensiero funzionale ad un altro pensare dove decisiva non sia l'oggettivazione ma sia l'enigma.
Nell'arte il pensiero si trasforma in volontà di potenza, per poter diventare forma. Se questo non accade, se non trova condivisione, rimane impotente. Resta solo un fatto privato che non incide sul sociale, quindi non fa mondo.
Fare mondo è anche una questione di forza numerica e di condivisione di intenti.
Da quando il mondo è diventato visione del mondo, non vi è più nulla che garantisca la corrispondenza tra un segno, un significante, una rappresentazione e la realtà.
I linguaggi, perso qualsiasi fondamento, vengono investiti da una responsabilità nuova, la responsabilità etica. Questo mostra con evidenza, la centralità dell'etica nel presente
Il limite, il confine, la soglia, il bordo, l'orlo, il paradosso, sono parole molto usate, ultimamente, dagli interpreti della contemporaneità. Come se il tentare di dare soluzione all'enigma dell'esistenza ci avesse condotti sul crinale del mondo. Ma non si può fare del mondo, un paradossale mondo di confine! Bisogna andare oltre...
Il pensiero si è spinto oltre il limite della ragione e abita un orizzonte aperto. Una volta spezzati i recinti presidiati dal pensiero calcolante, una volta messo in dubbio il suo valore assoluto, ecco che lo scenario muta e si rivela in tutta la sua mobile inconsistenza.
Concetti come fragilità, precarietà, leggerezza ci invitano a ridisegnare un mondo svincolato dalle dicotomie; esposto al non senso ma anche all'interpretazione in continua reciproca tensione. La creatività non può che essere attivata da questa sfida costante!
Non si tratta più infatti, di sostituire una forma di condizionamento ad un'altra ma di liberare delle potenzialità.

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